venerdì 29 aprile 2011

Confucio e la conciliazione

A seguire un interessante articolo di Rossella Orfeo, Conciliatore presso la C.E.S.D. su " Le origini della Conciliazione in Cina: il pensiero confuciano".

Buona lettura.
Giovanni Prati


Le origini della Conciliazione in Cina: il pensiero confuciano. Una delle culture che ha più largamente utilizzato il mezzo della Conciliazione come strumento primario per la risoluzione delle controversie è sicuramente quella di natura confuciana, originariamente sviluppatasi in Cina e successivamente estesasi a tutte quelle zone limitrofe soggette alla potenza della Cina Imperiale.
La concezione cinese del diritto è molto diversa da quella occidentale e la regolazione della vita sociale è fondata sul combinarsi del li e del fa, che rappresentano due distinti insiemi di norme volti al perseguimento del principio cardine secondo cui una decisione giudiziale arbitrariamente assunta dal giudice senza fare espresso riferimento alla legge è teoricamente illecita.
Il li consiste in un complesso di regole morali concretizzate in specifici rituali necessari per garantire all’uomo una vita in armonia con il cosmo.
Rappresenta una sorta di codice di comportamento di un gruppo sociale e trova il suo fondamento nel pensiero confuciano il quale manifestava costantemente la sua avversione nei confronti di leggi e tribunali e la propria ostilità e sfiducia nei confronti della capacità delle istituzioni giuridiche di disciplinare in maniera armonica i rapporti sociali, affermando, al contrario, la necessità di fondare l’ordine della società su regole di educazione e di cortesia.
In questo codice di comportamento, caratterizzato dalla ricerca dell’armonia He e dalla rinuncia in favore del prossimo Rang, i diritti non trovano spazio considerato che l’individuo è connotato dai propri doveri e che il concetto di uguaglianza non è contemplato all’interno dei rapporti interpersonali.
Infatti la morale confuciana non ha una connotazione teologica come quella cristiana, ma al contrario vuole essere un efficace strumento di regolazione sociale e di governo.
La storia del diritto cinese è stata segnata dal contrasto del li all’opposta scuola di pensiero del fa, che nella legge scritta e in particolare in quella penale, vede il più efficiente tra gli strumenti di governo.
Rappresenta la legge in quanto fonte del diritto e il suo principio base, opposto a quello confuciano, è la certezza di dover reprimere i conflitti che nascono dall’inevitabile egoismo della natura umana che dunque è necessario controllare attraverso leggi scritte e punizioni delle violazioni.
Tuttavia anche nel fa si riscontra alla fine una progressiva interiorizzazione della norma a cui si arriva attraverso l’azione legislativa e repressiva che col tempo rende inutile sia la legge che la relativa sanzione.
Per ben oltre 30 secoli la storia della Cina è stata segnata dal contrasto fra queste due opposte scuole di pensiero, ma quello che ne è derivato è che lo Stato ideale, per entrambe le scuole, è quello che della legge non ha bisogno, considerato che, la prevalenza dell’una o dell’altra impostazione ha poi approdato a risultati simili.
È in un testo del XIII secolo che questo emerge in maniera significativa, laddove si privilegia l’applicazione del li ma il susseguente ricorso al fa laddove i riti proposti dal li non siano rispettati.
Il rapporto tra il li ed il fa è allora riproposto come una gradazione e viene racchiuso in un aforisma dei seguaci confuciani che recita che “ il li non discende fino alla gente comune e il fa non sale fino ai nobili letterati”.
È da quel momento che in Cina comparvero i concetti di uguaglianza dei cittadini, garanzie processuali, separazione fra diritto pubblico e privato e diritti soggettivi.
Le innovazioni fondamentali, che si ebbero con la codificazione proposta da Goumintang e proseguita da Sun Yat-Sen, portarono ad un apparato legislativo (detto sistema delle sei leggi) fondato sul principio di legalità ed ispirato al modello giuridico dell’Europa Continentale di Civil Law e furono creati il Codice Civile e di Procedura Civile, il Codice Penale e di Procedura Penale e la Costituzione che dopo varie revisioni entrò in vigore nel 1947 consacrando così l’entrata della Cina nella famiglia giuridica Romano-Germanica.
Con la vittoria di Mao Zedong, in seguito alla guerra civile tra Comunisti e Nazionalisti, nel 1949 venne abrogato il sistema delle “sei leggi”, considerato troppo a favore dei proprietari terreni e nel 1954 venne promulgato un testo Costituzionale con il quale furono istituiti i cosiddetti “Comitati di Conciliazione Popolari”, come suggeritori di soluzioni stragiudiziali delle controversie.
Si ritorna così al pensiero confuciano, promotore della conciliazione, un mezzo che in poco tempo divenne lo strumento più idoneo per amministrare la giustizia civile in Cina.
Infatti dal pensiero confuciano è lontano il comportamento di sfida fra le parti all’interno di una controversia giudiziaria; Confucio è dell’idea che la conciliazione, attraverso pratiche di compromesso e di mediazione, sia idonea a limitare quell’esasperata competizione fra individui che si esplica nel tentativo di avere ragione e vincere la causa.
Oggi questa cultura giuridica si rafforza e si espande e l’intervento dello Zhong Jian Ren, terzo indipendente e neutrale, è un elemento chiave del sistema cinese e la conciliazione viene spesso incoraggiata o tentata direttamente anche da giudici e arbitri nel corso di un procedimento.
Confucio dicendo che “la risoluzione ottimale di una divergenza si trova tramite la persuasione morale e l’accordo e non sotto coercizione”, ha individuato così, in una sola battuta, il senso e il nucleo fondamentale dei sistemi ADR, idonei a rappresentare un efficace gestione del conflitto tale da consentire ai contendenti di ottenere il soddisfacimento dei propri interessi senza dover ricorrere alla extrema ratio dell’aggressività e conservando quel senso di cooperazione che nella cultura cinese, sin dai tempi antichi, riveste un’importanza preponderante.

mercoledì 27 aprile 2011

Mediazione Civile : l’O.U.A. al limite della sovversità.

A seguire comunicato di oggi, dell'Ufficio stampa A.N.P.A.R.

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Ancora veleni sulla mediazione civile da parte dell’O.U.A. e dell’ordine degli avvocati di Firenze. Al di là delle deliranti osservazione ed intimazioni ai giudici ordinari, “di disapplicare la mediazione obbligatoria” vi è una legge comunitaria, una nazionale e circolari ministeriali alle quali i giudici non possono disattendere.

Ad alleggerire il clima interviene il presidente dell’A.N.P.A.R. Giovanni Pecoraro.

La verità è una sola ci sono nella base dell’avvocatura grida ruggenti ed urlanti, perché “la casta” non è riuscita a mantenere le personalistiche posizioni di privilegio, hanno lavorato e continuano a lavorare contro i giovani. Da ciò che dicono, questi signori, deduco che - subita la sconfitta per la mancata “sospensione” dell’obbligatorietà da parte del TAR - vogliono insegnare ai giudici ordinari quello che dovrebbero o non dovrebbero fare. Questi “signori illustrissimi del diritto” stanno interpretando in modo erroneo la Carta dei diritti fondamentali dell’uomo, secondo loro “ il Giudice su richiesta di una delle parti, può dichiarare la procedibilità della domanda disapplicando l’art. 5 comma 1 del D. Leg. n. 28/2010, perché in contrasto con l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”.

Il richiamato art. 47, dice Pecoraro “che ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare” e che la causa deve essere conclusa entro un termine ragionevole” . Due principi fatti propri dal legislatore e dall’Unione europea con l’emanazione del D.Leg.vo 28/2010 e con la Direttiva del Parlamento Europeo n.52/2008. Infatti sia il primo provvedimento che il secondo, sono stati emanati nel rispetto di salvaguardare in un qualsiasi momento - le parti lo manifestino - la loro “sovrana volontà” ad espletare il tentativo di conciliazione, per alcune materie se, così non fosse stato legiferato, non ci sarebbe stato, né l’effetto deflattivo né il potersi difendere da solo.

A questa riflessione ne aggiungo un'altra. Chi lo dice che la mediazione civile è prerogativa di risoluzione solo per gli avvocati di esperienza? Non è così! Il programma formativo per mediatore professionale tutto prevede tranne che lo studio approfondito di norme giuridiche cogenti. Dunque ben venga il medico mediatore professionale idoneo ad essere designato in una risoluzione di controversia in materia di sanità, ovvero di un ingegnere in materia di confini o meglio ancora un medico ed un avvocato o un ingegnere e un avvocato.

Piuttosto, continua Pecoraro, il dramma vero, riguarda “gli attuali esperti del diritto” che stanno cominciando a pagare delle responsabilità che l’O.U.A. ha accumulato in tanti anni in materia di mediazione.Hanno presentato la “nostra” mediazione con una storia lunga e tumultuosa senza precedenti pur di salvaguardare le posizioni di privilegio di pochi a svantaggio dei giovani, di altri ordini professionali e del legislatore. In che misura è giustificato questo allarmismo sulla mediazione? Le radici del pensiero “conciliativo” non sono nate certamente dal cervello di chi non ha mai avuto a che fare con la mediazione. Non sono più permesse leggi a favore delle “caste”. Nulla di personale contro la base degli avvocati - continua Pecoraro - nel corso degli ultimi decenni, gli avvocati hanno invaso il campo in settori professionali non propri.
Sono ovunque: nel tributario, nella revisione legale, nella mediazione creditizia, nel settore immobiliare e tanti altri ancora, aggiungendo elementi di incertezza nel comune pensare dei cittadini.

C’è bisogno di pulizia e trasparenza, per questo dice Pecoraro - ci vuole un colpo di spugna deciso e rapido per chi ha intenzione di sovvertire il nuovo, ai cittadini non piace chi esercita il potere per il potere. In tutte le cose ci vuole dignità e coerenza.

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A quanto sopra, questo Blog si associa.
Giovanni Prati

giovedì 14 aprile 2011

TAR del Lazio... la riflessione di Alessandro

Più che della condizione di procedibilità tout court (già stata più volte dichiarata compatibile dalla Corte Cost con il dirittodi difesa), dall'ordinanza emessa (scritta, peraltro, in giuridichese strettissimo), sembra che il Tar si preoccupi degli organismi dotati di "serietà ed efficienza",avanti ai quali va esperito il tentativo obbligatorio.
Troppo poco - la serietà ed efficienza - per una funzione che è, di fatto, pre- e/o para-processuale (titolo esecutivo, art. 13 dlgs 28, art. 116 cpc, ecc...).
A questo punto, o la Corte dice che va bene così (in effetti il Regolamento 180 completa di molto la qualificazione degli organismi) o qualcosa cambierà, penso soprattutto a livello di organismi privatistici e/o di qualifiche formative. Ma non sembra possibile che si torni indietro, anche con la mediazione "obbligatoria".
Strano, invece, che non si sia detto niente delle tariffe, forse il punto un po' più a rischio, perché ogni volta che la Corte si è pronunciata sul tentativo obbligatorio (ad es: in materia di lavoro), è sempre uscita dicendo che l'onere era indifferente per il cittadino. Nel caso del dlgs 28,forse non è così indifferente.
E nel raffronto fra difesa stragiudiziale e giudiziale qui forse ci si avventura su un terreno un po' scosceso. Per farla breve, se per ogni processo della durata di dieci anni un avvocato incassasse 45.000 euro,sarebbe un nababbo. Forse è colpa di quegli avvocati che hanno abituato i clienti in un certo modo (che, cioè, le tabelle forensi sarebbe meglio fossero applicate in maniera molto elastica), sarà la concorrenza, sarà la crisi, ma dal mio punto di vista credo che le cose stiano in maniera completamente diversa.
Anzi, mi sono accorto che, da un certo punto in poi, il giudizio civile medio diventa una perdita secca per l'avvocato (a meno che non si concluda con una vittoria schiacciante, laddove salvi davvero il lavoro di 10 anni).

( Alessandro )

Con 80 euro... chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato!

" Il nuovo Regolamento dell’Organismo di Conciliazione di Firenze (O.C.F.), approvato il 18/3 u.s., ha recepito una delle proposte più importanti avanzate da Avvocatura Indipendente all’assemblea del 14/3/11.

In forza di tale recepimento la parte, previo versamento di € 80,00 oltre Iva, potrà promuovere la conciliazione, in ossequio all’art. 5 del D.Lgs. n. 28/10, ai soli fini della procedibilità della domanda giudiziale dichiarando, contestualmente, di non voler aderire alla conciliazione.

Il risultato ottenuto è davvero significativo perché consente, sia pure attraverso il passaggio obbligato di cui sopra, di evitare perdite di tempo e di tutelare il diritto del proprio assistito direttamente in sede giurisdizionale."

( estratto dall'art. del 25/03/2011 Giù le mani dalla giurisdizione - Fonte: www.avvocaturaindipendente.it)


La chiusa " di evitare perdite di tempo e di tutelare il diritto del proprio assistito direttamente in sede giurisdizionale ", evidenzia oramai  una cultura purtroppo...troppo radicata nel vedere quale unica soluzione alle  controversie l'utilizzo della sola "spada" della Giustizia, quella dei Tribunali, che quando va bene taglia l'arancia in due,  rendendo il più delle volte  le Parti insoddisfatte. Ma le Parti ricordo sono solo una parte del processo... poi ci sono i difensori delle Parti, che sono parte nel processo , con le  proprie "aspettative" , di difendere la Parte e la propria parte...

Giovanni Prati

mercoledì 13 aprile 2011

TAR del Lazio : rinvio alla Corte Costituzionale

MEDIAZIONE CIVILE ORDINANZA DEL TAR: STIAMO AI FATTI E
NON ALL' ESALTAZIONI 

Il TAR Lazio del 12 aprile 2011 ha emesso un’ordinanza "interlocutoria" che non, ha valore definitivo, è servita, soltanto a tenere aperto il dialogo tra coloro che hanno proposto il ricorso e i cittadini. L’ordinanza emessa può essere suscettibile di cambiamenti e sviluppi, ma, l’ossatura della legge resta ed è quella stabilita nell’art. 60 della Legge 69/2009, nel D. Leg.vo 28/2010 e nel D.M. 180/2010.(L’aver dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale di alcuni commi dell’art. 5 , non ha fatto altro che rafforzare l’istituto della mediazione civile , che comunque resta vigente così come pubblicata. Salvo che la Corte Costituzionale non smentisca se stessa a proposito di procedibilità di alcune controversie civili, (sentenze: cfr. Corte Cost. 13 luglio 2000, n. 276; Corte Cost. 4 marzo 1992, n. 82 e, in relazione al giusto processo, Corte Cost. 19 dicembre 2006, n. 436 - n. 47 del 1964, nn. 56, 83, 113 del 1963, n. 40 del 1962 - n. 46 del 1974 -) per ora è necessario solo "isolare" chi fino ad oggi ha solo mirato all’aggravamento dei conflitti sociali.(La Corte Costituzionale, ha sempre affermato che lo scopo deflattivo dei procedimenti civili connaturati al tentativo di
conciliazione obbligatoria, rappresentano certamente un interesse generale, anche in considerazione dei tempi ristretti nei quali si deve concludere la procedura di mediazione (quattro mesi) e del costo ragionevolmente contenuto per le parti che vi ricorrono, non si vede ora per quale motivi dovrebbe andare contro corrente e contro l'U.E.(A tal proposito, dice il presidente Pecoraro, dell'Associazione Nazionale per l'Arbitrato e la Conciliazione, tutti hanno detto e parlato di tariffe applicabili alla mediazione ma NESSUNO,- T.A.R. compreso - ha mai fatto un raffronto serio tra quello che costa - anche in termine di tempo- un giudizio ordinario e una conciliazione. Un giudizio per un valore di causa di euro 516.501, che parte dalla difesa stragiudiziale costerà quanto in appresso:  

* difesa stragiudiziale euro 5.653,21 per parte; * giudizio di primo grado 23.788,67 per parte.

Dopo la sentenza la parte che ha avuto ragione nel giudizio deve attivarsi per recuperare quanto deciso dal giudice e dunque l’avvocato deve introdurre una nuova procedura per l’esecuzione della sentenza, che se passata in giudicato, assomma ulteriori compensi per l’avvocato pari ad euro 3.065,00 per il decreto ingiuntivo più euro 956,12 per il precetto. Il soccombente non paga? L’avvocato pone in essere ulteriori procedure (esecuzione mobiliare euro 2.846,61, esecuzione immobiliare: euro 5.284,66 - esecuzioni presso terzi euro 3.761,32). Per concludere: dopo circa 10 anni di durata del processo le parti hanno speso: l’attore, euro 45.355,59 la controparte euro 29.441,88. Viceversa con la conciliazione avrebbero speso per l’indennità al conciliatore la mo! dica cifra di 1.333, 33 euro per parte.Da questi compensi sono esclusi quelli per eventuale appello e cassazione. Questo è il vero motivo per cui la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia Europea hanno deciso a favore dell’obbligatorietà dell’esperimento del tentativo di conciliazione in materia di mediazione civile e commerciale. Appare chiaro dunque, che il TAR LAZIO, ha agito alla "Ponzio Pilato" , lavandosi le mani e trasferendo alla Corte Costituzionale la quale con le tante sentenze sopra richiamate ha già dichiarato costituzionali sia l'art. 24 che il 77.(Pienamente d’accordo,invece, è il presidente Pecoraro, su una rivisitazione dell’articolo 16 del D. Leg.vo 28/2010, richiamato nell'ordinanza "interlocutoria", in merito ad una migliore regolamentazione degli organismi di conciliazione pubblici o privati. Avevo colto da tempo, continua Pecoraro, che saremmo giunti a questo stato di cose, sia per la formazione dei mediatori professionali che il proliferare di organismi "fatti in casa", senza valore aggiunto. E' lontano il tempo che facevo presente al Ministro - dice Pecoraro - che a gestire il procedimento di mediazione dovevano essere gli ordini professionali, le camere di commercio, e quegli enti privati con un minimo di anzianità quinquennale di operatività nei sistemi A.D.R. (Alternative <dispute Resolution). Il risultato, ad oggi, è che gente senza scrupoli sta approfittando d! el silenzio-assenzo e dei controlli che saranno fatti a "posteriori" dal Responsabile del servizio, per "fare affari" sulle spalle dei giovani. 

(Artcolo dell'ufficio Stampa - A.N.P.A.R. )

domenica 10 aprile 2011

Incompatibilità della funzione di Giudice di pace e Conciliatore

Giudice di pace - Mediazione - Mediatore - incarico di conciliatore, previa iscrizione negli elenchi predisposti presso la C.C.I.A.A., non sia compatibile con le funzioni di giudice di pace sia in relazione ai procedimenti di conciliazione stragiudiziale disciplinati dal D.m. 222/2004, sia in relazione ai procedimenti di conciliazione stragiudiziale per i quali non si applica il suddetto decreto ministeriale, con riferimento all'intero territorio nazionale. (Consiglio Superiore della Magistratura Risposta a quesito del 6 ottobre 2010)
Incompatibilità tra l'esercizio delle funzioni di giudice di pace e l'attività conciliativa.
(Risposta a quesito del 6 ottobre 2010)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 6 ottobre 2010, ha adottato la seguente delibera:
"- letta la nota in data 21 aprile 2010 con la quale la dott.ssa …, giudice di pace nella sede di …, chiede di conoscere se sussista incompatibilità tra l'esercizio delle funzioni di giudice di pace e l'iscrizione nelle liste di organismi autorizzati alla conciliazione in genere e, in particolare, in quelle  presso la Camera di Commercio e in quella della Camera di Conciliazione della Consob, rappresentando che l'eventuale attività conciliativa verrebbe svolta in qualità di avvocato;
- considerato che, con delibere dell'11 dicembre 2008 e 11 febbraio 2009, il Consiglio ha affermato che l'incarico di conciliatore, previa iscrizione negli elenchi predisposti presso la C.C.I.A.A., non è compatibile con le funzioni di giudice di pace;
- ribadito il principio secondo cui per i giudici di pace le specifiche cause di incompatibilità sono
tipizzate dalla legge n. 374 del 1991 e non sono loro applicabili l'art. 16 R.d. 12/1941 e le ulteriori forme di incompatibilità previste dalle norme di Ordinamento giudiziario, anche in virtù del principio sancito dall'art. 51, comma 1, Cost., in base al quale tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici “secondo i requisiti stabiliti dalla legge”, sicché l'ampliamento delle cause di incompatibilità, mediante l'applicazione di quelle previste per i magistrati professionali, realizzerebbe un'illegittima introduzione di limiti all'accesso all'ufficio pubblico (o alla permanenza in esso) non voluti dalla legge;
- considerato che bisogna prestare particolare attenzione alla previsione di cui all'art. 7 del decreto ministeriale 23 luglio 2004, n. 222 contenente il “Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui all'art. 38 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5”, il quale, al comma 3, prevede che “in ogni caso, i giudici di pace, finché dura il loro mandato, non possono svolgere la conciliazione in forme e modi diversi da quelli stabiliti dall'art. 322 del codice di procedura civile”, ponendo una regola di carattere generale, che vieta ai giudici di pace di svolgere l'incarico di conciliatori durante tutto il periodo del loro mandato proprio perché essi svolgono l'attività conciliativa prevista dall'art. 322 c.p.c.;
- rilevato che il Consiglio di Stato, nel rendere il parere di sua competenza sullo schema del regolamento in oggetto, all'esito dell'adunanza svoltasi il 5 aprile 2004, ha affermato che l'incompatibilità è “espressamente estesa all'attività conciliativa stragiudiziale del giudice di pace, come regolata dall'articolo 322 del codice di procedura civile, allo scopo di evitare il contemporaneo esercizio delle due funzioni conciliative”;
- individuata la ratio legis del divieto posto dall'art. 7 D.m. 222/2004 nell'escludere che il giudice di pace, già istituzionalmente deputato ad espletare l'attività conciliativa stragiudiziale, possa rendere il medesimo servizio partecipando ad uno degli organismi di conciliazione previsti dall'art. 38 D.Lgs. 5/2003, appannando la propria immagine di imparzialità ed indipendenza, perché al magistrato onorario sarebbe consentito di svolgere la medesima attività in ambito “pubblico” e, al contempo, in ambito “privato”, peraltro percependo specifici compensi, corrisposti dalle parti secondo le tariffe stabilite per la conciliazione stragiudiziale;
- considerato che l'art. 7 D.m. 222/2004 trova applicazione, per la conciliazione stragiudiziale, anche in materie diverse rispetto a quelle indicate dall'art. 1 D. Lgs. 5/2003 e cioè nelle controversie tra utenti ed operatori di comunicazioni elettroniche, fino alla completa attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 141, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (delibera del 19aprile 2007, n. 173/2007/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) e nelle controversie in materia di affiliazione commerciale e di patto di famiglia e che non possono esservi dubbi in ordine alla sussistenza della incompatibilità tra l'incarico di conciliatore e l'ufficio di giudice di pace per tutte le materie in cui il procedimento di conciliazione stragiudiziale siadisciplinato dal D.m. 222/2004;
- ritenuto che da tale conclusione possa desumersi anche l'incompatibilità assoluta del giudice di pace ad esercitare l'incarico di conciliatore, senza che possa operarsi alcuna distinzione in relazione alla materia oggetto della conciliazione stragiudiziale, poiché l'art. 322 c.p.c. non pone alcun limite alla competenza del giudice di pace in tema di conciliazione stragiudiziale e l'incompatibilità assoluta appare essere del tutto coerente in relazione alla funzione svolta dalla conciliazione stragiudiziale - quale forma alternativa di risoluzione delle controversie - ed alla ratio del divieto - salvaguardia della capacità di assolvere degnamente, per indipendenza, equilibrio e prestigio acquisito, le funzioni di magistrato onorario, come previsto dall'art. 5, comma 3, L. 374/1991;
- ritenuto, in conclusione, che appare del tutto ragionevole discostarsi, mutando indirizzo, da quanto deliberato in data 24 gennaio 2001, alla luce degli interventi normativi degli ultimi anni in tema di conciliazione stragiudiziale, i quali hanno riconosciuto alle camere di commercio un ruolo primario nell'erogazione di tale servizio (legge 14 novembre 1995, n. 481 recante “Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità”; legge 29 marzo 2001, n. 135 relativa alla “Riforma della legislazione nazionale del turismo”; decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 relativo alla “Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della L. 3 ottobre 2001, n. 366”; legge 6 maggio 2004, n. 129 dettante “Norme per la disciplina dell'affiliazione commerciale”; decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 in tema di “Codice del consumo, a norma dell'art. 7 della L. 29 luglio 2003 n. 229”; legge 14 febbraio 2006, n. 55 avente ad oggetto “Modifiche al codice civile in tema di patto di famiglia”; legge 22 febbraio 2006, n. 84 sulla “Disciplina dell'attività professionale di tintolavanderia”) e hanno progressivamente allargato l'ambito applicativo della conciliazione, fino a comprendere, secondo l'art. 2 del D. Lgs. 4 marzo 2010 (attuazione dell'articolo 60 della legge 18
giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali) qualunque “controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili”;
- tutto ciò premesso, il Consiglio
                                         delibera
di rispondere al quesito proposto dalla dott.ssa …, giudice di pace nella sede di …, nel senso che deve ritenersi che l'incarico di conciliatore, previa iscrizione negli elenchi predisposti presso la C.C.I.A.A., non sia compatibile con le funzioni di giudice di pace sia in relazione ai procedimenti di conciliazione stragiudiziale disciplinati dal D.m. 222/2004, sia in relazione ai procedimenti di conciliazione stragiudiziale per i quali non si applica il suddetto decreto ministeriale, con riferimento all'intero territorio nazionale." 

 
(Documento pubblicato su ForoEuropeo)

sabato 9 aprile 2011

Mediazione con Platone

“I sudditi fanno l’interesse del più forte, e servendolo lo rendono felice,ma per sé non ne ricavano il più piccolo vantaggio. Considera,stoltissimo Socrate, che ogni circostanza l’uomo giusto ha la peggio nei confronti di chi è ingiusto. In primo luogo, negli accordi privati in cui si associano due individui cosa non troverai mai che alla fine del loro rapporto l’uomo giusto abbia guadagnato più dell’ingiusto, anzi proprio al contrario. E negli affari pubblici, quando occorre versare i contributi, a pari censo l’uomo giusto paga di più e l’ingiusto meno.” Questo scritto di Platone in La Repubblica risalente ormai a 2400 anni fa, pare scrittoo oggi. 
Si parte sempre da ciò che ognuno di noi ritiene essere giusto, sia in fattoo che in diritto, pretendendo che in caso di conflitto tale nostra ragione ci venga da un terzo, ad esempio un giudice o un arbitro, riconosciuta. Purtroppo quasi mai è così, il tempo che passa continua a dare sempre più ragione a chi meno ce l’ha. Non è importante agire per il bene del Paese, l’importante è agire per il bene proprio. Qualsiasi buona iniziativa viene così boicottata nel nascere, a prescindere che sia buona o meno, e quando la si riesce ugualmente a far germogliare si cerca di screditarla. Ciò sta accadendo con le nuove norme sulla mediazione per la risoluzione delle controversie civili e commerciali.
A prendere la lancia in mano questa volta è stata gran parte
dell’avvocatura, che con l’entrata in vigore della nuova legge sulla mediazione, sta portando avanti una campagna perlopiù fondata sulla salvaguardia di interessi propri, che verso quella dei propri clienti. Una causa in tribunale oggi per arrivare a sentenza definitiva, necessita di parecchi anni, ed il risultato, anche quando la sentenza ci dà ragione, non ci appaga mai per costi sostenuti e per tempo ad essa dedicato. Come si dice... “causa che pende, causa che rende!” Attraverso la mediazione (conciliazione) si può giungere a soluzioni in tempi brevissimi, solo pochi giorni o pochi mesi, con risultata il più delle volte positivi del tutto inaspettati, a costi notevolmente ridotti.
La mediazione si distacca dal vecchio concetto di “chi ha torto e di chi ha ragione” , per portare il suo ragionamento alla ricerca degli interessi delle singole parti, che seppur conflittuali possono convergere in una soluzione soddisfacente tra di loro. In questo modo anche l’uomo giusto di Platone potrà ottenere la sua soddisfazione.

Giovanni Prati 
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martedì 5 aprile 2011

Chiusi ...nel proprio bunker!

Riporto di seguito la comunicazione dell’Ufficio Stampa ANPAR (Associazione Nazionale per l'Arbitrato & la Conciliazione) per quanto concerne l’ostruzionismo, tuttora in corso, da parte dell’O.U.A. nei confronti dei Mediatori e della nuova riforma sulla Mediazione in materia civile e commerciale.


“Sembrerebbe questa la vera paura che attanaglia il Presidente dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura. Ospite della trasmissione "UnoMattina" di Rai1, l'avvocato ha lamentato il fatto che a svolgere la mediazione civile non saranno "i grandi avvocati o gli avvocati preparati, ma i praticanti o i giovani che non trovano lavoro", sottolineando subito dopo, preoccupato, che "ce ne saranno tantissimi". Queste parole, oltre a dire che tutti gli avvocati che faranno i mediatori civili sono professionisti tutt'altro che grandi e tutt'altro che preparati, hanno fatto sorgere dei seri dubbi su quelle
che sono le sue reali intenzioni. Il Presidente dell'Oua ha a cuore, come ha sempre sostenuto, le sorti della giustizia civile italiana e il bene dei cittadini o, piuttosto, teme che gli avvocati "in erba" riescano sul serio a risolvere le controversie private? La differenza non è da poco: in quest'ultimo caso, infatti, agli avvocati più maturi verrebbero sottratte tutte quelle cause sulle quali essi hanno - dati alla mano - il monopolio assoluto.


Quali siano le sue vere intenzioni non è dato saperlo con certezza, anche se i punti di riferimento non mancano. Vero è, per esempio, che l'Organismo Unitario dell'Avvocatura, ostile da sempre alla riforma, da un lato sostiene che la mediazione civile rappresenterebbe per il cittadino un costo aggiuntivo, dall'altro pretende che sia obbligatorio, per lo stesso cittadino, affrontare un altro e ulteriore costo per farsi accompagnare da un avvocato davanti al mediatore civile.


Sempre vero è, inoltre, che i rappresentanti degli avvocati pretendono di parlare a nome di tutti i colleghi, ma la maggior parte dei giovani avvocati si dichiara invece molto interessata alla mediazione civile (e come non potrebbe farlo, visto il sovraffollamento della categoria e i pochi spazi liberi lasciati dagli avvocati più maturi).


Infine, è altrettanto vero che le agitazioni e gli scioperi degli avvocati di questi ultimi mesi quasi mai sono stati voluti dai numerosissimi giovani avvocati italiani, ma sono sempre stati  imposti dai vertici della categoria professionale e dai "baroni" del foro.


In conclusione, è dunque molto difficile pensare che i vertici dell'Oua e gli avvocati più maturi abbiano a cuore le sorti della giustizia italiana. Dopo aver gridato allo scandalo sostenendo che la mediazione civile rappresenterebbe una "privatizzazione della giustizia", ora si scopre invece che ciò che più temono è perdere qualcosa che già consideravano di loro esclusiva proprietà. Forse è arrivato il momento che i praticanti e i giovani avvocati italiani inizino a pensare con la loro testa.”