mercoledì 4 maggio 2011

Obblighi antiriciclaggio estesi al mediatore

Il quadro degli adempimenti antiriciclaggio gravanti sui professionisti si arricchisce di un altro tassello, almeno per coloro che intendano estendere alla mediazione l’ambito delle attività svolte.

Il DLgs. 28/2010 ha infatti novellato l’art. 10 del DLgs. 231/2007, aggiungendo la mediazione all’elenco delle attività che comportano l’insorgere degli obblighi antiriciclaggio in capo ai destinatari della normativa.
Invero, l’art. 10 individua una “zona franca” abbastanza significativa, in quanto esclude espressamente gli obblighi di identificazione (rectius: adeguata verifica) e registrazione; nondimeno, all’esito di tale integrazione anche la mediazione diviene attività in relazione alla quale, in capo al professionista, sussistono alcuni degli obblighi previsti dalla normativa antiriciclaggio.

L’attenzione, per il professionista che svolge l’attività di mediazione, deve dunque essere focalizzata sui restanti obblighi antiriciclaggio di cui al DLgs. 231/2007: in primis, la segnalazione delle operazioni sospette (art. 41 e ss.), ma anche la comunicazione al Ministero dell’Economia e delle Finanze delle violazioni all’uso del contante (art. 51), nonché la formazione del personale (art. 54).

L’applicazione della normativa antiriciclaggio al professionista-mediatore pone alcune questioni di non scarso rilievo, che spaziano dall’ambito applicativo dell’obbligo di segnalazione fino alla corretta individuazione degli indicatori di anomalia e delle modalità di segnalazione applicabili al caso di specie.

Per quanto concerne l’ambito applicativo dell’obbligo di segnalazione, sotto il profilo soggettivo ci si è chiesti se lo stesso debba essere assolto esclusivamente dai mediatori ovvero anche dagli organismi di mediazione. L’art. 10 non contribuisce alla soluzione del problema, in quanto si limita a fare riferimento alla “mediazione” ai sensi dell’art. 60 della L. 69/2009. La relativa definizione é contenuta nell’art. 1, comma 1, lett. a) del DLgs. 28/2010, in virtù del quale la mediazione è “l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”.

Dalla formulazione letterale della norma emerge con evidenza che l’attività cui sembra riferirsi l’art. 10 è quella posta in essere dal mediatore, cioè dalla persona fisica che, ai sensi della successiva lett. b) dell’art. 1, svolge la mediazione.
Dunque, volendosi attenere a un’interpretazione letterale, si potrebbe concludere che l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette grava esclusivamente sul mediatore.

Una diversa interpretazione, di carattere estensivo, si fonda sul presupposto che il termine “mediazione” debba essere inteso con riferimento all’intero procedimento che si svolge innanzi all’organismo di conciliazione. Quest’ultimo è depositario della documentazione inerente alla questione oggetto della mediazione e si occupa dei relativi adempimenti (ricezione della domanda, quantificazione delle spese da sostenere, individuazione del mediatore, fissazione dell’incontro, comunicazione della domanda alla controparte): dunque, potrebbe venire a conoscenza di operazioni sospette fin dall’atto introduttivo.
Se ne desume che l’obbligo di segnalazione gravi sia sul mediatore sia sull’organismo di conciliazione.
Quest’ultima tesi, tuttavia, non appare condivisibile.

Pur volendo tralasciare il tenore letterale della disposizione, deve soffermarsi l’attenzione sulla nozione di “sospetto”, così come circoscritta dall’art. 41 del DLgs. 231/2007, che sembra poter essere ricondotta molto più facilmente all’attività esercitata dal mediatore che a quella svolta dall’organismo di conciliazione. Non solo. L’individuazione degli organismi di conciliazione quali destinatari di obblighi antiriciclaggio comporterebbe la predisposizione, da parte degli stessi, di complessi presidi interni (ad esempio, un idoneo servizio antiriciclaggio).
Per tali ragioni si ritiene che l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette debba gravare esclusivamente sul mediatore, e non anche sull’organismo di conciliazione.

Il mediatore, attraverso l’esercizio dell’attività di mediazione e nel contraddittorio delle parti, è posto senz’altro in condizione di acquisire una conoscenza più approfondita delle informazioni rilevanti in merito alla vicenda oggetto della mediazione. In più, ai fini di un’efficace prevenzione dei reati di riciclaggio, la segnalazione effettuata dal mediatore meglio risponde alle evidenti esigenze di tempestività e snellezza della procedura di cui all’art. 41 e ss. del DLgs. 231/2007. Infine, il mediatore può essere un soggetto già tenuto agli adempimenti antiriciclaggio nello svolgimento della professione, come nel caso del dottore commercialista e dell’esperto contabile. In tale ipotesi, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette, egli potrà tener conto anche del profilo di rischio associato al cliente in sede di adeguata verifica, adempimento quest’ultimo richiesto al professionista e non al mediatore.

( fonte: http://www.eutekne.info/Sezioni/Art_337860.aspx)

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